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Omesso versamento dell’Iva: la crisi di liquidità non giustifica

  • di Luigi Mondardini

    Respinta la tesi volta a giustificare la condotta dell’imputato con le sue pessime condizioni economiche

    La Corte di cassazione, con sentenza 18501 del 5 maggio 2015, ha statuito che nel reato omissivo per mancato versamento dell’Iva, “non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta”. 
     
    Grava sul contribuente l’obbligo di accantonare l’Iva dovuta, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
      
    Secondo l’imputato i motivi che non gli avevano consentito il versamento dell’IVA erano da ricondursi:  
     
    - alle  pessime condizioni economiche in cui versava la società e la circostanza che in ogni caso l’imputato era stato ammesso a pagare (e stava pagando) ratealmente il dovuto, fatti che pertanto escludevano il dolo; 
    - e alla mancata riscossione dell’Iva da parte di clienti insolventi o falliti, circostanza questa che aveva aggravato la crisi di liquidità dell’impresa.
     
     
    Per quanto concerne il tema della “crisi di liquidità” d’impresa, quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, la Corte ha precisato che “è necessario che siano provati la non imputabilità al contribuente della crisi economica dell’azienda, e la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata” (vedi anche Cassazione 5905/2014, 15416/2014, 5467/2013).
     
    A giudizio della Suprema corte, “per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto”. Il dolo del reato in questione è integrato dalla sola condotta omissiva posta in essere, nella consapevolezza della sua illiceità.
     
    La Corte ha confermato la posizione più volte espressa (sentenze 4529/2007, 18402//2013, 24410/2011, 9041/1997, 643/1984, 7779/1984) tesa a “escludere che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante, in considerazione del fatto che la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento”.
     
    Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà, di porre in essere il comportamento omesso (Cassazione, 10116/1990).
     
    I giudici hanno concluso ritenendo inconsistente la tesi del ricorrente volta a giustificare la condotta dell’imputato con le sue pessime condizioni economiche e con il mancato pagamento delle fatture da parte dei clienti. 
     
     
     
     
     
     

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