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Studi di settore per i medici di base

  • di Luigi Mondardini

    A decorrere dal 2012, lo studio di settore VK10U riservato agli studi medici ha subito un’importante modifica .

    Con riguardo all’incidenza dei compensi derivanti da attività in “libera professione” dei medici convenzionati con il SSN, in particolare con riguardo ai medici c.d. “di base”.
     
    Recentemente il TAR del Lazio ha respinto il ricorso proposto dalla Federazione Italiana Medici e di Medicina Generale che riteneva illegittima l’applicazione degli studi ai medici di medicina generale in regime di convenzione con il SSN.
     
    I Giudici, dopo aver evidenziato la natura di “professionisti” dei soggetti in esame, hanno negato la prospettata illegittimità proponendo un’interpretazione a favore del Fisco.
     
    L’attività di medico “libero professionista” si configura non solo con riguardo ai medici che esercitano l’attività in favore di pazienti nel proprio studio ma anche per i medici  convenzionati con il SSN, i  dipendenti del SSN in via non esclusiva che esercitano anche attività libero-professionale (c.d. “intramoenia”) e coloro  che esercitano l’attività in strutture private con rapporti di lavoro diversi da quelli di lavoro subordinato.
     
    In quanto  “professionisti”, sono soggetti agli studi di settore e in particolare alla
    compilazione del relativo modello finalizzato all’applicazione degli stessi.
     
    Con riguardo all’applicazione dello studio VK10U alla categoria dei medici di medicina generale (c.d. “medici di base”), sono state evidenziate una serie di criticità, a seguito delle numerose anomalie emerse in sede di compilazione del mod. UNICO 2013 relativo al 2012, accentuate dalle modifiche apportate con la versione “evoluta” dello studio di settore.
     
    Considerate le “diffuse anomalie in relazione a tutti gli studi di settore della categoria” la FIMMG (Federazione Italiana Medici e di Medicina Generale) ha proposto ricorso al TAR, lamentando, in particolare, l’applicazione degli studi di settore ai medici di medicina generale convenzionati con la ASL
     
    Il TAR del Lazio, con la recente sentenza 3.9.2014, n. 9339 ha respinto il ricorso proposto.
     
    I rappresentanti della FIMMG ritengono che gli studi di settore non sono applicabili ai medici di medicina generale in quanto “solo fiscalmente” lavoratori autonomi poiché in sostanza l’attività svolta risulta essere regolata interamente dal SSN, tanto da configurare un vero e proprio “lavoro «parasubordinato»” al quale gli studi di settore non risultano applicabili.
     
    Infatti, vista la natura vincolata di tale rapporto di lavoro, al medico di medicina generale è preclusa ogni possibilità di occultare compensi, assoggettati a ritenuta alla fonte, per cui “i costi per l'esercizio dell'attività in relazione al volume d'affari e al reddito del professionista non sarebbero significativi  nel determinare i compensi percepiti dal medico che svolge attività convenzionata”.
     
    Con riguardo ad una (eventuale) seconda attività svolta privatamente, la FIMMG sottolinea l’esigua incidenza della stessa rispetto a quella esercitata in regime convenzionale, pari allo 0 - 5% del totale dei compensi con conseguente “concreta inutilità della imposizione tributaria”.
     
    L’iniquità generata dall’applicazione degli studi di settore risulterebbe inoltre ancora più accentuata dall’“aumento ingiustificato dei ricavi richiesti ai fini della congruità” (anche con riguardo all’attuale congiuntura economica), aumento che si attesterebbe attorno al 9 - 10% rispetto agli anni precedenti.
     
    Il  TAR del Lazio ha respinto il ricorso, ritenendo che i medici di medicina generale sono comunque liberi professionisti e come tali potenzialmente in grado di percepire, nell’esercizio della loro attività, redditi diversi da quelli corrisposti dal SSN.
    L’esiguità dei compensi percepiti derivanti dalla seconda attività non esclude l’applicazione degli studi, anche laddove quanto percepito dal SSN concorresse per il 90% alla formazione del reddito totale di tali soggetti.
     
    Per i Giudici gli studi di settore risultano applicabili con riguardo alla quota di compensi eventualmente percepita nell’ambito della “seconda” attività.
     
    I medici di medicina generale restano liberi professionisti; tale natura “ibrida” è espressamente regolata dal principio contenuto nell’art. 4, comma 9, Legge n. 412/91 in base al quale l’attività di libero professionista deve essere definita nell’ambito della convenzione, al fine di evitare un eventuale pregiudizio all’attività svolta in regime convenzionale.
     
    Infatti “l’applicazione per la restante parte del meccanismo degli studi di settore” appare legittima “posto che essi non dipendono dalla quota di provenienza dei redditi, ma dalla natura di lavoratori autonomi dei medici del S.S.N.”.
    Con riguardo ai “timori della associazione ricorrente” relativi alla natura degli studi, il TAR, confortato dalla giurisprudenza consolidata, evidenzia la natura di presunzione semplice propria degli studi la quale garantisce che “in assenza di ulteriori elementi assunti dall’ufficio per suffragare la pretesa, gli studi non possono da soli integrare la prova dell’evasione”.
     
    Per il TAR quindi le argomentazioni proposte dalla FIMMG non consentono di escludere i professionisti in esame da tale strumento di controllo in ragione del fatto che “l’interesse pubblico all’individuazione dei contribuenti infedeli e delle fonti di reddito sottratte all’imposizione tributaria, appare prevalente rispetto alle difficoltà lamentate derivanti dall’applicazione dell’istituto in esame anche ai medici di medicina generale”.
     

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