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Società di comodo: Canone incongruo e antieconomico

  • di Luigi Mondardini

    la Cassazione legittima l’accertamento

    Si tratta di un criterio di determinazione del reddito che esclude ogni discrezionalità .
     
    In materia di “non operative”, va considerata di comodo una società del settore alberghiero gestita senza obiettivi di profitto immediati e concreti, mediante la locazione a terzi di un immobile a canone incongruo rispetto alle condizioni di mercato e non remunerativo rispetto alle rilevanti spese di ristrutturazione effettuate.
     
    A fornire la precisazione è stata la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 8218 del 30 marzo 2017.
     
     
    La richiesta di disapplicazione era stata respinta dalla competente direzione provinciale per totale inesistenza dei requisiti legittimanti l’istanza.
     
    La società istante non si adeguava volontariamente dichiarando il reddito minimo di legge, esponendo, peraltro, una perdita nella dichiarazione dei redditi.
     
    L’Agenzia delle Entrate, di conseguenza, notificava avvisi di accertamento, relativamente all’anno 2006, sia alla società che ai soci per le rispettive quote, rettificando le imposte sul reddito della prima (Ires) e su quello di partecipazione dei secondi (Irpef) e portandoli ai minimi di legge ai sensi della citata legge 724/1994, come modificata dalla legge 296/2006, qualificando la società come “non operativa”.
     
    La società stessa e i soci, per le quote a essi imputabili, ricorrevano avverso gli avvisi di accertamento, precisando di aver affittato la propria e unica azienda in ciascuno degli esercizi accertati, con la conseguenza che la norma antielusiva sulle società di comodo non poteva trovare applicazione.
     
    I ricorsi venivano riuniti, trattandosi di ipotesi di connessione soggettiva e oggettiva ai fini della trattazione congiunta.
     
    Mentre il giudice di primo grado riteneva fondate le rimostranze dei ricorrenti,  il collegio di appello  rilevava che la società non aveva adeguatamente giustificato l’inoperatività presunta secondo legge.
     
    I contribuenti ricorrevano in Cassazione non avendo il giudice di appello correttamente valutato la circostanza che nell’annualità fiscale interessata  la società verificata aveva affittato la propria unica azienda, ed escludendo, in tal modo, l’applicabilità della normativa antielusiva.
     
    I giudici di legittimità, confermando la decisione di secondo grado, hanno evidenziato che, in materia di società di comodo, i coefficienti previsti dalla legge sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali e un livello minimo di ricavi e proventi.
     
    La determinazione dell’imponibile deriva così da precisi criteri di determinazione del reddito stabiliti dalla legge che escludono, quindi, ogni discrezionalità deduttiva.
     
    Spetta, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto.
     
    Nella fattispecie in esame, l’unico bene, una struttura alberghiera, era stato concesso in locazione a un canone non congruo rispetto al mercato, con la conseguenza che le entrate non erano sufficienti per sostenere le rilevanti spese di risanamento e ristrutturazione sostenute.
     
    La suprema Corte ha, dunque, considerato tali circostanze sufficienti per non superare il test di operatività, senza la necessità di verificare l’esistenza di intenzioni fraudolente o elusive. 
     
    L’affitto di azienda non disinnesca, pertanto, il test di operatività, tanto più se questo avviene a un canone incongruo rispetto alle condizioni di mercato e troppo basso rispetto alle spese di risanamento e ristrutturazione dell’immobile sostenute nel medesimo anno.
     
     
     
     

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