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Risoluzione e canoni di locazione

  • di Luigi Mondardini

    Sono tassati anche se non effettivamente percepiti.

    L’effettiva percezione dei canoni è infatti irrilevante ai fini fiscali, e i canoni sono tassati fino a quando il contratto non sia cessato per scadenza del termine, per una causa di risoluzione.
     
    La Corte Costituzionale  con sentenza 362/2000 ha infatti stabilito:
     
    - il riferimento al canone di locazione potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico. 
     
    - Quando, invece, la locazione  sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 cod. civ.) ed il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 cod. civ.) o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere, tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale (tassazione in base alla rendita catastale)”.
    Risulta quanto mai importante la presenza di una clausola risolutiva espressa da indicare nel contratto di locazione, al fine di evitare la tassazione dei canoni non effettivamente percepiti.
     
    La clausola non ha efficacia automatica; occorre infatti  che la parte interessata dichiari all’altra che intende valersi della clausola risolutiva, inviando apposita raccomandata con ricevuta di ritorno.
     
    Inoltre, ai fini fiscali, il contribuente è  tenuto a dimostrare che l’immobile è  stato effettivamente rilasciato dal conduttore.
    Fuori dai casi in cui il conduttore  lascia liberamente  l’immobile a seguito della semplice raccomandata con la quale si comunica la risoluzione del contratto (nel qual caso sarà sufficiente produrre il verbale di rilascio), è quindi  necessario attivarsi per ottenere, giudizialmente, un titolo per il rilascio dell’immobile.
     
    Le altre due forme di risoluzione stragiudiziale del contratto , diverse dalla clausola risolutiva espressa  sono la diffida ad adempiere e il termine essenziale.
     
    Nel primo caso  una parte può intimare all’altra, per iscritto, l’adempimento della prestazione entro un termine non inferiore a 15 giorni, allo scadere del quale il contratto si intenderà risolto di diritto. In questo caso, peraltro rileva l’importanza dell’inadempimento, per cui l’altra parte potrà adire il giudice per l’accertamento della scarsa importanza del suo inadempimento.  
     
    Inoltre ai sensi dell’articolo 1457 cod. civ., il contratto è risolto di diritto per inadempimento se era fissato un termine da considerarsi essenziale nell’interesse della parte.
     
    Si ricorda che in ogni caso ,anche qualora  sia stata inviata al conduttore una diffida ad adempiere e il contratto si sia successivamente risolto, se quest’ultimo non libera spontaneamente l’immobile sarà comunque necessario ricorrere al giudice per il rilascio.
     
    Infine, se il contratto non è scaduto o non è risolto, i canoni non percepiti sono tassati fino alla data di conclusione del procedimento giudiziale di convalida di sfratto per morosità.
     
    In tal caso il giudice può accertare la morosità anche nei periodi precedenti , per i quali risultano già versate le imposte,  ed il locatore può beneficiare di un credito d’imposta, che è previsto  nei casi in cui i fabbricati siano dati in locazione per uso esclusivamente abitativo. Per le imprese il credito d’imposta  è riconosciuto,  con riferimento ai beni immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa.
     
     
     

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