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Raddoppio dei termini: si pronuncia la Cassazione

  • di Luigi Mondardini

    È legittimo il raddoppio dei termini se il pubblico ufficiale rileva l’ipotesi di un reato.

    Tuttavia non è sufficiente il mero sospetto di un’attività illecita, ma  è necessaria la sussistenza di elementi di un delitto.

    A confermare questi principi è la Corte di Cassazione con la sentenza 9670/2017

    Il raddoppio dei termini non è un nuovo termine di decadenza, ma  rappresenta il “termine ordinario” in presenza dell’obbligo di inoltrare la notizia di reato (Corte Cost. 247/2011).

    Affinchè operi il raddoppio, quindi, è necessario il mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa (Cass. 1171/2016), restando per di più irrilevante che l’azione penale non venga proseguita o sia intervenuta una decisione di proscioglimento, di assoluzione o di condanna.

    L’obbligo di denuncia sorge quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi di un reato previsto dal Dlgs 74/2000 e ciò anche se sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini.

    È tuttavia stato precisato che in tale contesto non è sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita.

    Il giudice tributario è tenuto a controllare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo una valutazione ora per allora, cd prognosi postuma, circa la loro ricorrenza.

    Occorre cioè che l’amministrazione abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle menzionate disposizioni al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine per accertare.

    In presenza di una contestazione sollevata dal contribuente è sufficiente che l’Ufficio provi i presupposti dell’obbligo di denuncia e non l’esistenza del reato.

     

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