Il tema affrontato dalla Cassazione.
La Corte ha affrontato il tema delle prestazioni professionali gratuite che l’Agenzia delle Entrate ritiene fonte di evasione. ( sent.n. 6215 depositata il 14 marzo 2018).
In presenza di determinate condizioni si potrebbe ritenere che dette prestazioni siano state rese, non gratuitamente, ma dietro pagamento di un corrispettivo.
In particolare considerando:
- il numero di prestazioni gratuite rese nei confronti dei clienti, se risulta numeroso.
- L’insufficienza delle spiegazioni fornite circa le ragioni che hanno indotto a rinunciare al compenso.
Al verificarsi di tali presupposti le scritture contabili possono legittimamente essere ritenute inattendibili e quindi legittimo il metodo di accertamento induttivo utilizzato (cfr art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973).
La contestazione prende le mosse da un controllo incrociato esperibile da parte dell’Agenzia delle Entrate:
- l’Amministrazione finanziaria verifica il numero di dichiarazioni fiscali trasmesse telematicamente dall’intermediario abilitato;
- Tramite lo spesometro è possibile riscontrare se siano o meno state emesse le relative fatture nei confronti dei clienti le cui dichiarazioni fiscali sono state oggetto di trasmissione telematica.
- La mancata fatturazione fa scattare, eventualmente, l’avviso di accertamento.
Mediante poi l’accesso presso il luogo di esercizio dell’attività, viene riscontrata la presenza di fascicoli senza che a questi corrisponda l’emissione della fattura.
La circostanza che il contribuente non abbia promosso alcuna azione per ottenere, in sede giudiziale o anche stragiudiziale, il recupero delle somme dovute, costituirebbe la prova che le prestazioni in discorso non sono state rese gratuitamente.
A fronte di importi esigui da incassare , il professionista potrebbe preferire non avviare un’azione legale costosa e difficoltosa. Pertanto è opportuno esibire almeno lo scambio di corrispondenza dal quale si desuma la volontà di recuperare, sia pure con un accordo bonario, il relativo credito.