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Migliorie su beni di terzi

  • di Luigi Mondardini

    Deducibilità dal reddito d’impresa in funzione della durata del contratto

    Lo afferma la Cassazione:  il piano di ammortamento civilistico assume rilievo anche ai fini fiscali.
     
    Le spese per le migliorie su beni di terzi, come sono le manutenzioni straordinarie su un immobile condotto in locazione, possono essere dedotte dal reddito d’impresa in funzione della durata del contratto, tenendo in considerazione solo la prima scadenza naturale, e non anche quella di rinnovo.
     
    È questa l’importante decisione assunta dalla Cassazione, con la sentenza n. 6288/2018.
     
    Il piano di ammortamento di tali spese redatto ai fini civilistici assume rilievo anche ai fini fiscali e, se il periodo considerato in bilancio è solo quello alla prima scadenza, ciò vale anche sul piano fiscale, senza che l’Amministrazione finanziaria possa opporre la circostanza dell’automatico rinnovo, pur dovendosi ricordare che spetta comunque al contribuente l’onere di dimostrare lo specifico criterio utilizzato per determinare l’utilità pluriennale di tali spese per il periodo considerato.
     
    Ai sensi dell’ art. 108 comma 3 primo periodo del TUIR  le spese relative a più esercizi sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio.
     
    Non sempre risulta agevole individuare la quota imputabile a ciascun esercizio quando le spese relative a più esercizi sono quelle afferenti alle migliorie su beni di terzi.
    Si pensi ad esempio  alle  spese straordinarie (rifacimento impianti, ristrutturazioni, ecc.) su immobili di terzi condotti in locazione o leasing.
     
    Il documento OIC 24 stabilisce che i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni presi in locazione dall’impresa (anche in leasing) sono capitalizzabili e iscrivibili nella voce “B.I.7 - Altre immobilizzazioni immateriali”, se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai beni stessi, ossia non possono avere una loro autonoma funzionalità.
     
    L’ammortamento dei costi per migliorie su beni di terzi si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione, tenuto conto dell’eventuale periodo di rinnovo, se dipendente dal conduttore.
     
    Per l’Amministrazione finanziaria, le modalità di ripartizione di tali spese sono diverse a seconda che il contratto di locazione preveda o meno la rinnovabilità alla scadenza.
     
    Infatti  mentre in quest’ultimo caso i costi in argomento si rendono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun periodo d’imposta, non oltre, comunque, il periodo di durata del contratto, nella prima ipotesi, invece, e sempre che i costi stessi svolgano la loro utilità anche nelle ulteriori annualità per le quali è prevista la rinnovabilità del contratto, le predette modalità di riparto dovranno tener conto pure di tali ulteriori periodi, fermo restando che, in caso di mancato rinnovo, le quote residue si renderanno interamente deducibili nell’esercizio in cui si verificherà tale circostanza (R.M. nn. 400/83 e 2980/82).
    La Cassazione  ora rigetta   la tesi del Fisco per cui la società avrebbe dovuto invece considerare la durata di 12 anni, ovvero anche il periodo di rinnovo previsto alla prima scadenza, per ulteriori 6 anni oltre ai primi 6.
     
    La Suprema Corte, in presenza di un piano di ammortamento redatto in relazione alla durata contrattuale della locazione, deve tenersi  conto soltanto della prima scadenza, e non anche del periodo di rinnovo, in quanto commisurata alla possibilità di utilizzazione delle opere in oggetto, non essendo, quindi, legittima la ripresa a tassazione del Fisco in ragione dell’assunto che la contribuente avrebbe dovuto viceversa considerare la rinnovazione automatica del contratto, e dunque la durata comprensiva del primo periodo di rinnovo (Cass. n. 382/2016).
     

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