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La Cassazione interviene su conferimento di azienda e cessione quote

  • di Luigi Mondardini

    Non può essere riqualificata in cessione di azienda

    La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2054/2017 , si pronuncia  sulla corretta interpretazione dell’art. 20 del DPR 131/86 e sulla sua natura di norma antielusiva.
     
    Il caso esaminato riguarda il conferimento di due rami d’azienda in due diverse nuove società e la successiva cessione delle  quote di partecipazione ricevute a seguito dei citati conferimenti.
     
    L’Agenzia delle Entrate aveva riqualificato  tali atti in cessioni di rami d’azienda, avvalendosi dell’art. 20 del DPR 131/86, con recupero di imposta di registro (  il conferimento di azienda e la cessione di quote scontano l’imposta di registro fissa, mentre la cessione di azienda sconta l’imposizione proporzionale).
     
    La questione pervenuta in Cassazione viene decisa con la citata sentenza n. 2054/2017, che respinge il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, condannandola anche alle spese.
     
    La Corte afferma che il divieto di abuso del diritto preclude al contribuente di ottenere vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur non contrastante con alcuna specifica norma, di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio di imposta. 
     
    E ricorda che il divieto di abuso del diritto non vale per le operazioni che siano supportate da ragioni diverse dal mero risparmio di imposta.
     
    Con riferimento  allo specifico caso trattato, secondo la Corte esso  esula dall’ambito di applicazione del principio di abuso del diritto, per due diverse ragioni:
     
    - da un lato, perché si ritiene che l’art. 20 del DPR 131/86  non sia una norma antielusiva applicabile nell’ambito dell’imposta di registro, trattandosi solo di una norma relativa all’interpretazione degli atti.
     
    - d’altro , perché il caso di specie configura “un’ipotesi di legittima scelta di un tipo negoziale invece di un altro”.
     
    In particolare  nella recentissima sentenza ritiene che  l’Amministrazione finanziaria, pur non essendo tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione degli atti prospettata dai contribuenti, tuttavia non possa travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile: “non deve ricercare un presunto effetto economico dell’atto”, superandone gli effetti giuridici.
     

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