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Frodi IVA: serve nuovo chiarimento dalla Corte di Giustizia

  • di Luigi Mondardini

    Lo ritiene necessario la Consulta.

    Serve un nuovo chiarimento sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE dopo la sentenza resa in causa Taricco.
     
    La tematica è quella della prescrizione delle frodi IVA, il cui dibattito era  iniziato con la sentenza Taricco (Corte di Giustizia causa C-105/14) in merito a:
     
    - la disciplina dei reati tributari e l’istituto della prescrizione
    - i rapporti tra la sovranità nazionale e il rispetto dei trattati comunitari.
     
    Tale pronuncia aveva affermato che la normativa italiana in materia di prescrizione del reato è suscettibile di pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri, impedendo di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea.
     
    Conseguentemente i giudici nazionali sarebbero  tenuti a disapplicare tale disciplina  laddove ritengano che la condotta integri una frode grave agli interessi dell’Unione.
     
    In questo contesto , gli organi giudicanti si sono trovati davanti ad un bivio nei procedimenti per frodi fiscali attinenti alla riscossione dell’IVA  ormai prescritte ( in base alla normativa nazionale):
     
    - assolvere in forza delle intervenuta prescrizione
    - oppure  disapplicare le norme ritenute in contrasto con la disciplina europea e proseguire il procedimento fino all’eventuale condanna.
     
    La  Corte d’appello di Milano  e la terza sezione della Corte di Cassazione  hanno quindi domandato alla Consulta di pronunciarsi in merito alle questioni suindicate.
     
    Con l’ordinanza n. 24/2017 la Corte Costituzionale dà seguito a tali istanze.
     
     
    A parere della Corte , il  tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell’applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate e non frutto di decisioni assunte  da un tribunale caso per caso.
     
    Non si può quindi  escludere che la legge nazionale possa e debba essere disapplicata se ciò è prescritto in casi specifici dalla normativa europea. 
     
    Non è invece possibile che il diritto dell’Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest’ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo rinvenuto nell’ordinamento.
     
    La Consulta ritiene  che  sia quindi  necessario sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di Giustizia  e cioè  un ripensamento sulla corretta interpretazione della norma in questione ed una nuova pronuncia volta a rendere compatibili le norme dei Trattati con il principio costituzionale di legalità.
     

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