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Evoluzione storica degli "studi di settore": dalla crisi del '93 a oggi, passando per Mani Pulite (Prima parte)

  • di Francesco Mondardini

    Analisi del turbolento contesto storico-politico in cui nacquero gli studi di settore e confronto con gli ultimi aggiornamenti in materia di lotta all'evasione fiscale.

    Nel 1993,  l’Italia incontrava la sua seconda recessione dalla nascita della Repubblica. Mentre, infatti, la flessione del biennio 74-75, scatenata dalla Guerra del Kippur e dalla conseguente crisi energetica mondiale, era già acqua passata, il Governo italiano si trovava di nuovo a fronteggiare una crisi. La svalutazione del 20% della lira italiana, sul lato monetario (nel tardo autunno del ’92), e la nascita degli “studi di settore”, dal punto di vista fiscale (inizio del ‘93), rappresenteranno la pronta risposta italiana al nuovo bisogno di assestamento da parte dell’economia dello Stivale. 
     
    In quegli anni, il Fisco stava premeditando ormai da tempo un intervento strutturale per aumentare il controllo sulle dichiarazioni dei redditi, nel tentativo di limitare la percentuale di evasione fiscale sul Pil, che nel 1993 aveva raggiunto la quota di circa il 21,3 % rispetto al Prodotto Interno Lordo italiano (pari circa a 176.500 milioni di euro, se si convertono i dati del tempo da lire a euro). La necessità di maggior controllo in dichiarazione, combinata alla crisi d’identità dei grandi romanzieri del Novecento, fu emblematicamente riassunta nella frase enunciata dallo scrittore americano, Herman Wouk (premio Pulitzer nel 1952 per “L’ammutinamento del Caine”), quando disse: “Le sole opere di fantasia immaginifica che vengono scritte oggi, sono le dichiarazioni dei redditi”.
     
    Mentre nell’autunno del ’92, all’alba di Mani Pulite, gli esponenti della Prima Repubblica cominciavano a subire il bombardamento degli avvisi di garanzia, Giuliano Amato, Presidente del Consiglio in carica dal giugno del ’92 all’aprile del ’93, spese un primo tentativo nel cercare di delineare le coordinate di un “minimum tax”, uno strumento pensato per il controllo delle PMI italiane aventi fatturo inferiore a 516.000 euro (pari a circa 1.000.000.000 di lire italiane). Tuttavia, il progetto del premier socialista si spiaggiò insieme alla “Balena Bianca” democristiana, ormai fiocinata da più parti dalle indagini giudiziarie condotte dalla Procura di Milano. 
     
    LA SVOLTA ANTI-EVASIONE DEL MEF
     
    Fu soltanto grazie all’intervento del Ministro delle Economie e delle Finanze, Franco Gallo, che si arrivò alla nascita dello strumento che riscriverà la storia della fiscalità italiana, dagli anni novanta a oggi: è lo “studio di settore”, il rompighiaccio con cui l’Agenzia delle Entrate comincia a sfondare le reticenze del contribuente e a monitorare da vicino la contabilità di ogni impresa e lavoratore autonomo. Nel corso degli anni, il MEF ha gradualmente innalzato l’asticella del controllo, esercitando maggior pressione sul settore privato. Così facendo, milioni di contribuenti sono stati segnalati all’Ufficio delle Entrate, a seguito di dichiarazioni dei redditi ritenute incongrue agli occhi dell’Amministrazione finanziaria. A quel punto, il cittadino si vedette (e si continua a vedere) costretto a pagare di tasca propria un adeguamento monetario per riallenarsi alle richieste dell’Agenzia o, nei casi peggiori, a subire un accertamento da parte della Guardia di Finanza. 
     
    Si arriva al 2016. Oggi, l’Italia si ritrova immersa in un contesto di totale polarizzazione delle opinioni, tra contribuente e Stato. Da una parte, l’imprenditore chiede maggiore collaborazione all’Amministrazione finanziaria. Dall’altra, lo Stato, che negli ultimi anni è riuscito a limitare di oltre dieci punti percentuali l’incidenza dell’evasione fiscale sul Pil (le stime del 2016 prevedono il 10% di evasione rispetto al Pil, pari a circa 190.000 milioni di euro di imponibile evaso) e ha perfezionato il meccanismo di individuazione quantitativa di quali imposte bypassino più facilmente i controlli (Confindustria 2013 stima la distribuzione dell’evasione allocata per tributo secondo le seguenti percentuali: IVA 45,5% dell’evasione; IRPEF 26,6%, IRES 5,9%, IRAP 3,4%; Altre imposte indirette 18,6%), conferma il suo intento di combattere l’evasione con il maggior controllo.
     

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