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Cessione di fabbricato da demolire

  • di Luigi Mondardini

    Riqualificabile in cessione di terreno edificabile

    Lo precisa la  Cassazione, ai fini del registro , con sentenza n. 10113/2017.
     
    Ai fini dell’accertamento dell’imposta di registro, l’Agenzia delle Entrate può riqualificare in cessione di area edificabile la cessione di un vetusto fabbricato successivamente demolito e poi ricostruito. Lo ha ribadito la Suprema Corte, con la pronuncia n. 10113/2017.
     
    La problematica della riqualificazione della cessione di un fabbricato vetusto, che poi venga demolito, a seguito dell’atto e sulla base di permessi o autorizzazioni comunali rilasciate nei giorni adiacenti alla sua stipula, presenta implicazioni  sotto  diversi profili: di imposte sui redditi, dell’IVA e dell’imposta di registro.
     
    Ai fini dell’imposta di registro , ai sensi dell’art. 20 del DPR. n. 131/1986, l’atto deve essere tassato in funzione degli effetti giuridici che oggettivamente produce, a prescindere dalla forma apparente (cfr. Cass. nn. 16345/2013, 15319/2013).
     
    L’’Ufficio, nel caso trattato,  aveva valorizzato i seguenti elementi sulla base dei quali aveva ritenuto sussistente una cessione di area edificabile piuttosto che di fabbricato: lo stato di vetustà che rendeva commercialmente poco o nulla appetibile il fabbricato preesistente; la sua demolizione e ricostruzione successivamente alla compravendita;  la presentazione, da parte
    dell’acquirente, dell’istanza di demolizione e ricostruzione al Comune appena tre giorni dopo la stipulazione; la circostanza che, già prima della compravendita, il Comune avesse emanato due pareri favorevoli di fattibilità degli interventi edilizi poi realizzati; la rispondenza del prezzo pattuito alla valorizzazione dello sfruttamento delle concrete potenzialità edificatorie, ovvero ri-edificatorie, del suolo.
     
    Sulla base di tali elementi, la Cassazione ha ritenuto legittima la riqualificazione operata dal Fisco, considerando che la volontà delle parti fosse quella di porre in essere una cessione di area edificabile, anziché di fabbricato, come era stato invece formalmente indicato nell’atto sottoposto a registrazione.
     
    Già in precedenza la Cassazione aveva stabilito  che, nell’attività di riqualificazione ex art. 20 del DPR 131/86, fosse corretto tener conto degli effetti oggettivi della compravendita, anche con riferimento a elementi sopravvenuti, come le concessioni edilizie, se gli effetti facevano emergere che gli interessi perseguiti dai contraenti erano quelli di realizzare la cessione di terreno edificabile piuttosto che di fabbricato, sicché risultava legittima la riqualificazione dell’atto compiuta dal Fisco (cfr. Cass. n. 24799/2014.
     
    Tale impostazione è stata spesso criticata in dottrina, evidenziando che, in realtà, l’oggetto della compravendita, in questi casi, è definito dalle risultanze catastali, che non possono essere discrezionalmente valutate dalle parti.
     
    Un fabbricato che risulta tale in Catasto (perché appartenente, ad esempio, ad una delle categorie del gruppo A) non può che essere trasferito attraverso una cessione di fabbricato e non certamente mediante una cessione di area edificabile (non essendo tale, sotto il profilo catastale, il bene compravenduto).
     
    Quanto poi alla possibilità di utilizzare il cosiddetto “collegamento negoziale” (come nel caso di riqualificazione in cessione di azienda delle operazioni di conferimento di azienda e cessione totalitaria delle quote della conferitaria), nel caso della cessione di fabbricato da demolire, gli atti amministrativi, quali la concessione edilizia o provvedimenti similari, sono irrilevanti ai fini dell’imposta di registro e, quindi, non possono essere considerati ai fini dell’attività interpretativa degli atti ex art. 20.
     

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