Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n.18126/15, con la quale i giudici di legittimità evidenziano che, determinandosi in questi casi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, egli deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili a operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica.
I dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari assumono sempre rilievo, ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare di detti conti non fornisce adeguata giustificazione.
La previsione di cui all’art.32 d.P.R. n.600/73 ha infatti portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano.
Né, per via del riferimento della disposizione ai «ricavi» ed alle «scritture contabili», l’applicabilità dell’art.32 può essere limitata ai soli soggetti che esercitino attività di impresa o di lavoro autonomo, in quanto il dato letterale risulta limitativo unicamente della possibilità per l’ufficio di desumere reddito dai «prelevamenti», giacché non può presumersi in via generale e per qualsiasi contribuente la produzione di un reddito da una spesa, a differenza che per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali, invece, le spese non giustificate possono ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti.