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Riforma fiscale USA: cosa cambia con Trump?

  • di Francesco Mondardini

    Dalla sforbiciata alla corporate tax, al tentativo di introdurre una transition tax per favorire il rientro dei capitali: tutti i punti della più discussa riforma economica degli ultimi anni.

    Il Fisco. La seconda tappa del temutissimo programma esecutivo di Donald Trump passa dal Fisco. Dopo aver incassato una sonora sconfitta sull’Obamacare, la riforma sanitaria osteggiata da parte della classe media – poiché tenuta a pagarla – ma che garantisce una copertura sanitaria ai meno abbienti, Trump torna a toccare le tasche degli americani con la riforma fiscale.

    La riforma, approvata i giorni scorsi, ha prodotto una serie di commenti, più o meno contradditori, da parte degli organi di stampa che seguono le vicende oltreoceano (cioè quasi tutti). Concretamente parlando, però, i ritocchi fiscali sono stati essenzialmente tre, e non lasciano grossi dubbi riguardo a chi ne andrà a beneficiare:

    1.     Sforbiciata alla Corporate Tax: le imprese americane, cioè quelle con residenza negli Usa, sono le maggiori beneficiarie della riforma Trump. La tassazione sugli utili societari è stata ridotta dal 35% al 21%, un decremento sensibilissimo che non trova precedenti negli ultimi 30 anni (dal 1986, governo Reagan: altro grande “sforbiciatore” di tasse).

    2.     Riduzione della “transition tax”: è la tassa che pagano le multinazionali per far rientrare il proprio denaro nel territorio a stelle e strisce. Scende dal 35% all’8%. Tale misura va letta in due modi: primo, è un tentativo di abboccamento da parte di Trump alle super-big (Apple, Microsoft, …) che parcheggiano ormai da anni patrimoni miliardari all’estero, versando le tasse nei Paesi a fiscalità “meno gravosa”. Secondo, l’8%, seppur aliquota molto bassa, potrebbe non bastare a convincere le major al rimpatrio dei propri capitali, scontando queste, a volte, tassazioni ancora più vantaggiose all’estero. Ma il tentativo appare opportuno, visto che le grandi corporation americane hanno oltre 2.400 miliardi di dollari sparsi in giro per il pianeta…

    3.     Ritocco delle tasse personali: democratica o repubblicana? Beninteso che, come accaduto nel resto del mondo, anche negli Usa le bandiere politiche dei due partiti principali si sono molto avvicinate negli ultimi tempi, era prevedibile, almeno sulla carta, che la riforma economica di Trump alleggerisse i redditi più elevati… Alla “repubblicana”, insomma. In realtà, la parte di riforma dedicata alla tassazione delle persone fisiche (la nostra IRPEF, per intenderci) è quella che rischia di avere l’impatto minore. Gli scaglioni fiscali sono infatti rimasti sette, come prima della riforma. Hanno però subito un ritocco in diminuzione. Non stiamo però parlando di scostamenti estremi. Tanto per intenderci, l’aliquota più elevata (che in Italia è il 43%), con Trump è passata dal 39,6%al 37%, con un decremento quindi inferiore al 3%: un aiutino ai ricchi, vero. Ma anche per i meno abbienti, poiché c’è stato un abbassamento progressivo pure degli scaglioni inferiori. Un problema che colpirà tutti, invece, verrà dalle detrazioni: Trump ne ha cancellate parecchie. Soprattutto sulle tasse locali, che prima potevano essere portate in deduzione sul bilancio federale. Ora non più.        

    In conclusione: la riforma fiscale di Trump ha sicuramente diminuito la pressione fiscale a livello corporate. In quanto a tassazione delle persone fisiche, invece, la partita è più aperta. Sia per i ricchi che per i meno abbienti. 

     

    Francesco Mondardini

    Tax advisor 

    francesco.studiomondardini@gmail.com

    @FranzMondardo

     

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