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Prima casa: non è indifferente il regime applicato (IVA o Registro)

  • di Luigi Mondardini

    Dal primo gennaio 2014 i trasferimenti “prima casa” scontano il 2% di imposta di registro.

    E’ la conseguenza  delle modifiche introdotte ad opera del D.L. n. 104/2013; viceversa  in  caso di applicazione dell’Iva l’imposta rimane del 4%. Dunque il doppio  rispetto alla prima ipotesi. 
     
    Si tratta di una disparità di trattamento significativa.
     
    Per fruire dell’agevolazione, l’immobile abitativo oggetto di trasferimento deve rientrare nella categoria “non di lusso”; tuttavia anche sotto questo profilo sussiste una disomogeneità tra la disciplina dell’imposta di registro e quella Iva. 
     
    Infatti a partire dal 1° gennaio 2014 , in ambito imposta di registro, l’abitazione per essere considerata  “non di lusso” deve essere classificata  catastalmente in categoria diversa da A/1, A/8 o A/9; in tal modo si potrà applicare l’aliquota  ridotta del 2%.
     
    Se si passa all’ipotesi di trasferimento soggetto ad IVA , la discriminante e’ un’altra:   l’immobile non deve avere le caratteristiche di lusso di cui al D.M. 2.8.1969, dove sono individuati i requisiti che rendono di “lusso” le  abitazioni.
     
    Si tratta di elementi disciplinati in svariati articoli in presenza dei quali  l’immobile si considera di lusso; un successivo articolo prevede poi  che l’immobile abitativo si consideri di lusso qualora siano verificate oltre cinque caratteristiche individuate nella tabella allegata al decreto stesso.
     
    Ma le differenze tra registro ed iva non finiscono qui. Si pensi al trattamento degli atti agli effetti delle  imposte ipotecarie e catastali che ammontano ad euro 200 ciascuna se il trasferimento è soggetto ad Iva, per scendere ad  euro 50 ciascuna se la cessione è soggetta ad imposta di registro. 
     
    Altra sostanziale differenza tra le due imposte riguarda la base imponibile. 
     
    Nel caso di trasferimento soggetto ad imposta di registro trova applicazione il  regime del “prezzo-valore”, secondo  il quale l’imposta viene assolta su una  base imponibile pari al valore catastale del bene a prescindere dal prezzo indicato nell’atto. Viceversa   in presenza di atto soggetto ad Iva, l’aliquota ridotta del 4% è sempre applicata sul corrispettivo pattuito tra le parti ed indicato nell’atto.
     
    Si ricorda che la cessione dell’immobile abitativo effettuato dall’impresa che  ha costruito o ristrutturato l’immobile, entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori, è soggetta ad Iva per obbligo . In tale ipotesi, quindi, l’acquirente persona fisica dell’immobile è “penalizzato” poiché non può richiedere il regime del prezzo-valore, ma deve corrispondere l’Iva del 4% sul prezzo pattuito.
     
    Se poi sono trascorsi più di 5 anni dall’ultimazione dei lavori, l’impresa cedente si trova di fronte a due possibilità vale a dire applicare il regime naturale dell’esenzione, ovvero optare nell’atto per l’applicazione dell’Iva.
     
    Si tratta di una scelta non indifferente per l’acquirente, poiché se l’impresa cedente non opta per l’applicazione dell’Iva, l’atto è soggetto ad imposta di registro del 2% e soprattutto consente di fruire del regime del prezzo valore.
     
    Ma se l’impresa cedente dovesse optare  per l’applicazione dell’Iva, per sfuggire alle negative conseguenze sulla detrazione dell’Iva in presenza di operazioni esenti, l’acquirente non potrebbe scegliere di applicare il regime del prezzo valore con evidenti ricadute negative sotto il profilo del costo fiscale dell’acquisto.
     

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