Modifiche sono intervenute sulla disciplina ( DLgs. 128/2015 e L. 208/2015)
Tuttavia l’applicazione della disciplina sul raddoppio dei termini per l'accertamento lascia spazio a interpretazioni contrastanti, anche alla luce delle modifiche normative recentemente introdotte.
L'art. 37 co. 24 e 25 del DL 223/2006, modificando gli artt. 43 del DPR 600/73 e 57 del DPR 633/72, introduceva il raddoppio dei termini in presenza di una violazione fiscale che facesse scattare anche l'obbligo di denuncia per un reato tributario.
In base a quanto sancito dalla Consulta con l'ordinanza 25.7.2011 n. 247, la corretta applicazione della norma era attribuibile al giudice tributario, il quale avrebbe dovuto riscontrare e verificare i presupposti dell'obbligo di denuncia "accertando, quindi, se l'amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità o abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento".
La normativa è stata significativamente modificata dal DLgs. 128/2015, il quale, da un lato, aveva sancito che il raddoppio opera a condizione che la notizia di reato sia trasmessa entro l'ordinario termine di decadenza per l'accertamento, dall'altro, all'art. 2 co. 3, aveva previsto che ciò non trova applicazione per gli accertamenti notificati sino al 2.9.2015.
Successivamente la legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015) ha eliminato il raddoppio dei termini a decorrere dagli accertamenti sul periodo d'imposta 2016 (dichiarazioni da inviare nel 2017).
Peraltro nella disposizione è stato previsto che per il passato (quindi, fino al periodo 2015) restano applicabili le precedenti regole sul raddoppio se la notizia di reato è stata inoltrata entro la scadenza ordinaria del termine di decadenza.