Recentemente sono state depositate numerose pronunce su un argomento sempre al centro di controversie.
La norma, come è noto, non formula indicazioni precise di esclusione rispetto a determinate categorie di soggetti ovvero a situazioni specifiche ; solo attraverso l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza è possibile delineare i limiti per la sua applicazione.
La legge non stabilisce con precisione quali siano i confini dimensionali oltre i quali l’imposta diventa obbligatoria; in soccorso è intervenuta la giurisprudenza, specificando le fattispecie concrete in presenza delle quali il professionista (commercialista,avvocato, medico, ingegnere, ecc.) è tenuto i al versamento. Da qui la necessità di un’attenta valutazione caso per caso delle condizioni in cui è svolta l’attività per verificare la sua assoggettabilità o meno al tributo.
Il presupposto per l’applicazione dell’IRAP ruota intorno al concetto di autonoma organizzazione, ossia l’insieme di quei fattori coordinati che possono incidere sui ricavi conseguiti.
Sulla base di alcuni pronunciamenti della Corte di Cassazione del 2009 emergeva che l’applicazione dell’Irap scattava per quei professionisti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse, con impiego di beni strumentali in misura eccedente al minimo indispensabile, avvalendosi in modo non occasionale delle prestazioni di terzi soggetti.
Uno degli elementi più problematici è dato dalla presenza di collaboratori. A tale proposito l’orientamento prevalente tende a escludere l’automatica applicazione del tributo alla sola presenza di lavoro prestato da terzi; va verificato in che misura il lavoratore subordinato crei valore aggiunto rispetto all’attività intellettuale del contribuente.
La Cassazione (ordinanza n. 27014/2014) ha affermato che l’esistenza di un dipendente assume rilevanza ai fini dell’applicabilità del tributo solo ove il lavoro subordinato ha potenziato l’attività produttiva.
Pertanto, non è indice di un’autonoma organizzazione la presenza di un collaboratore che esegue attività di semplice segreteria; diverso, invece, potrebbe essere il caso in cui il collaboratore svolga particolari incarichi , come l’occuparsi stabilmente della contabilità di alcuni clienti, seguire i decreti ingiuntivi dello studio, effettuare le ricerche giurisprudenziali, ecc.
In alcuni casi la dimensione dello studio è stata ritenuta elemento sufficiente per stabilire l’imposizione Irap. In particolare, secondo l’ordinanza n. 27008/2014 della Suprema Corte non è soggetto a Irap il medico convenzionato Ssn che disponga di uno studio di 50 metri quadrati e delle attrezzature necessarie.
Nel caso poi di studi associati, là dove i professionisti condividano solo l’immobile al fine di ripartire le spese fisse e le utenze , l’Irap non è dovuta.
Viceversa l’ ordinanza n. 27005/2014 ha chiarito come il pagamento dell’Irap sia obbligatorio quando l’associazione e la collaborazione tra diversi professionisti dà luogo invece a una struttura vera e propria con una gestione unitaria delle entrate .
Con riferimento all’utilizzo di beni strumentali all’interno dello studio, l’Agenzia delle Entrate (circolare n. 45/2008) ha ritenuto sufficiente un investimento di valore superiore ai 15mila euro.
Secondo la Cassazione invece gli investimenti in beni strumentali assumono rilevanza ai fini Irap solo ove risultino eccedenti rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività.
In questo caso la Corte di Cassazione (ordinanza n. 26982/2014) ha ribadito che i beni strumentali possono essere considerati un indicatore valido per l’assoggettamento a Irap solo qualora risultino eccedenti rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività.
Tocca al giudice di merito stabilire quanto i beni strumentali siano rilevanti per lo svolgimento dell’attività professionale e quanto i beni strumentali contribuiscano a creare valore aggiunto per lo studio professionale e, quindi, se possano essere considerati determinanti al fine dell’assoggettamento all’Irap.