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L. 69/2015 : la questione dei “ falsi valutativi” rimessa alle Sezioni Unite

  • di Luigi Mondardini

    In data 2.3.2016 la Quinta Sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite la questione .

    Il tema è quello relativo alla punibilità o meno – rispetto alle nuove fattispecie di false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., come sostituiti dalla L. 69/2015 – dei c.d. “falsi valutativi”.
     
    Al momento sussiste un contrasto giurisprudenziale.
     
    Secondo l’orientamento espresso dalla  Cassazione on sentenza   n. 890/2016, nell’ambito delle nuove fattispecie di false comunicazioni sociali, il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non varrebbe ad escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. 
     
    Infatti, qualora intervengano in contesti che implichino l’accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o, comunque, tecnicamente indiscussi, anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere a una funzione informativa e possono quindi dirsi veri o falsi.
     
    Al contrario , la stessa  Cassazione con le sentenze . nn. 33774/2015 e 6916/2016), l’esclusione della rilevanza penale dei c.d. falsi valutativi si fonderebbe, innanzitutto, sul fatto che i nuovi artt. 2621 e 2622 c.c. si inseriscono in un contesto normativo che, nell’art. 2638 c.c., vede ancora un esplicito riferimento a fatti materiali ancorché oggetto di valutazioni. 
     
    Appare difficile, poi, pensare che la riforma, nel riprendere solo la locuzione “fatti materiali non rispondenti al vero”, abbia ignorato il dibattito esistente al momento della disciplina introdotta nel 2002 e l’opinione di chi, in esito a quest’ultima, aveva affermato che l’espressione “fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni”, ivi contenuto, finiva per sancire la rilevanza penale delle valutazioni al pari di quanto prevalentemente già ritenuto in relazione al mero riferimento ai “fatti” della disposizione del 1942.
     
    Il passaggio ad una tipizzazione della condotta (sia attiva che omissiva) che mutua solo la locuzione “fatti materiali”, quindi, legittimerebbe l’interpretazione che esclude la rilevanza penale dei fatti derivanti da un procedimento valutativo.
    E ciò sarebbe ulteriormente confermato dalla considerazione che l’originario Ddl. attribuiva rilevanza penale alle “informazioni” false: espressione (quella) che indubbiamente sarebbe stata idonea a ricomprendere le valutazioni.
     
     
     

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