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Immobiliari: la questione delle società di comodo

  • di Luigi Mondardini

    Frequente il caso in cui i canoni si dimostrano inferiori ai ricavi minimi.

    Le  società immobiliari, soprattutto quelle di gestione che svolgono in via esclusiva o prevalente l’attività di locazione dei beni immobili posseduti, spesso non sfuggono alla normativa relativa alle società di  “ comodo”.
     
    In effetti i  parametri fissati dall’articolo 30 della L. 724/1994 risultano oggi mediamente superiori ai ricavi  effettivamente conseguibili nell’attuale contesto del mercato immobiliare. 
     
    Si ricorda che il  test di operatività  pone  a confronto:
     
    - la media dei ricavi  effettivamente conseguiti dalla società nell’esercizio in corso e nei due precedenti 
    - con la media – sempre su base triennale – dei ricavi presunti calcolati applicando specifiche percentuali al valore delle attività patrimoniali. 
     
    Se i primi risultano inferiori all’importo determinato forfetariamente la società si considera di comodo.
     
    Sussistono peraltro le ipotesi di disapplicazione automatica; inoltre è possibile  far valere ,tramite interpello,  la presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il superamento del test di operatività.
     
    In base all’articolo 11, comma 1, lett. b) della L. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente) l’interpello non è più obbligatorio.
    Pertanto  il contribuente se ritiene  sussistere valide ragioni oggettive che non hanno permesso il superamento del test di operatività, può auto-disapplicare la disciplina sulle società di comodo anche in assenza di interpello o in presenza di interpello con risposta negativa.
     
    La casistica ha ormai consentito di individuare una serie di situazioni oggettive che consentono la disapplicazione – anche automatica – della normativa in commento ; le più comuni sono le seguenti:  
     
    - la presenza di soli immobili in corso di costruzione e , in quanto tali,  non idonei a produrre ricavi;
     
    - la dimostrazione della impossibilità di praticare canoni di locazione sufficienti a pervenire al livello minimo di ricavi (es. quando i canoni dichiarati sono almeno pari a quelli di mercato determinati ai sensi dell’articolo 9 del Tuir). Per l’individuazione del canone di mercato si può fare riferimento alle quotazioni rilevabili nella banca dati dell’OMI;
     
    - la dimostrazione di impossibilità a  modificare i contratti di locazione in corso;
     
    - la temporanea inagibilità dell’immobile;
     
    - la situazione di società con patrimonio immobiliare parzialmente inutilizzabile (es. causa fatiscenza);
     
    - la società che è in attesa delle necessarie autorizzazioni amministrative per l’edificazione (es. rilascio della concessione edilizia da parte del Comune);
     
    - quando la società affitta  immobili  ad enti pubblici con canoni soggetti a parere di congruità da parte dell’Agenzia del Territorio;
     
    - quando una società  acquista un immobile, subentrando in un contratto di locazione in corso, con canoni non congrui;
     
    - in presenza di un contratto di locazione in corso,  il cui canone è fissato da anni e senza la possibilità di modificarlo (è necessario dimostrare in tal caso che il canone era almeno pari a quello di mercato nell’anno in cui è stato pattuito);
     
    - società che procede al rinnovo del contratto adeguando il canone a quello di mercato, ma risulta non operativa per effetto della media triennale (è necessario dimostrare in tal caso che il canone per le due annualità precedenti era almeno pari a quello di mercato nell’anno in cui era stato pattuito).
     

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