Lo ritiene necessario la Consulta.
Serve un nuovo chiarimento sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE dopo la sentenza resa in causa Taricco.
La tematica è quella della prescrizione delle frodi IVA, il cui dibattito era iniziato con la sentenza Taricco (Corte di Giustizia causa C-105/14) in merito a:
- la disciplina dei reati tributari e l’istituto della prescrizione
- i rapporti tra la sovranità nazionale e il rispetto dei trattati comunitari.
Tale pronuncia aveva affermato che la normativa italiana in materia di prescrizione del reato è suscettibile di pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri, impedendo di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea.
Conseguentemente i giudici nazionali sarebbero tenuti a disapplicare tale disciplina laddove ritengano che la condotta integri una frode grave agli interessi dell’Unione.
In questo contesto , gli organi giudicanti si sono trovati davanti ad un bivio nei procedimenti per frodi fiscali attinenti alla riscossione dell’IVA ormai prescritte ( in base alla normativa nazionale):
- assolvere in forza delle intervenuta prescrizione
- oppure disapplicare le norme ritenute in contrasto con la disciplina europea e proseguire il procedimento fino all’eventuale condanna.
La Corte d’appello di Milano e la terza sezione della Corte di Cassazione hanno quindi domandato alla Consulta di pronunciarsi in merito alle questioni suindicate.
Con l’ordinanza n. 24/2017 la Corte Costituzionale dà seguito a tali istanze.
A parere della Corte , il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell’applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate e non frutto di decisioni assunte da un tribunale caso per caso.
Non si può quindi escludere che la legge nazionale possa e debba essere disapplicata se ciò è prescritto in casi specifici dalla normativa europea.
Non è invece possibile che il diritto dell’Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest’ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo rinvenuto nell’ordinamento.
La Consulta ritiene che sia quindi necessario sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di Giustizia e cioè un ripensamento sulla corretta interpretazione della norma in questione ed una nuova pronuncia volta a rendere compatibili le norme dei Trattati con il principio costituzionale di legalità.