Sentenza n. 38717/2016. La necessità dell’elemento psicologico.
La Suprema Corte afferma che la semplice veste di legale rappresentante della società in capo all’imputato non è sufficiente ad una affermazione di colpevolezza sic et simpliciter.
Precisa: “…. considerandone le dimensioni non certamente minimali, è invece necessario l’accertamento in concreto della sua consapevolezza della fittizietà delle fatture utilizzate ai fini della presentazione di una dichiarazione fiscale fraudolentemente falsa e correlativamente appunto verificare mediante l’assunzione dei testi suddetti se di contro sia veritiera la tesi difensiva che tale consapevolezza non sussisteva, per detta ragione”.
La pronuncia è quanto mai interessante perché prende precisa posizione su un aspetto che spesso viene trascurato nei reati tributari, ossia la presenza o meno dell’elemento psicologico richiesto ai fini della integrazione della fattispecie criminosa.
Nel caso in esame , la Suprema Corte, ha chiaramente etichettato come “non adeguata” la motivazione resa dal Giudice di seconde cure , ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, basata non tanto su un accertamento in concreto, quanto su ipotesi ritenute dal Giudice di merito come plausibili (“non poteva non essere a conoscenza”).
Viceversa anche con specifico riferimento all’elemento soggettivo della fattispecie, risulta necessario un preciso e puntuale accertamento, anche mediante l’ammissione, di tutti i mezzi di prova che possano far luce sulla consapevolezza o meno dell’imputato in ordine alla condotta delittuosa attribuitagli.
Tale consapevolezza, insegna la Suprema Corte, non può essere ricondotta de plano alla veste formale di legale rappresentante assunta dal soggetto chiamato a difendersi, in quanto in capo al medesimo, per diversi motivi, potrebbe difettare proprio quella consapevolezza viceversa richiesta dalla norma incriminatrice e condizione indefettibile per il raggiungimento di una pronuncia di condanna.