Novembre 2017. Il Governo Renzi vara una legge delega destinata a rivoluzionare la materia fallimentare. Un anno di tempo per effettuare i decreti attuativi. Oggi, a distanza di quasi un anno da quella legge, a che punto siamo?
Dunque, il Regio Decreto del 1942 – pietra miliare del diritto fallimentare italiano, finora modificato solo a tratti dalle riforme di inizio anni 2000 – potrebbe ora essere sostituito da un innovativo corpo normativo che, tanto per intenderci, prevede la cancellazione definitiva del termine “fallimento”, ritenuto troppo degradante nei confronti dei soggetti debitori coinvolti.
Se così fosse, si inizierebbe a parlare di “liquidazione giudiziale” e non più di “fallimento”. Ad oggi, però, non c’è ancora alcuna certezza. Le cose si sono complicate da quando, sul finire dello scorso inverno, le commissioni giustizia e finanza si sono bloccate per le elezioni.
Ora però le voci che trapelano dalle nuove commissioni, istituite dal governo gialloverde, sembrano favorevoli a una netta accelerazione del progetto “liquidazione giudiziale”. Considerando il termine del prossimo 14 novembre, prorogabile per un massimo di due mesi, la nuova legge fallimentare dovrà essere messa nero su bianco entro la metà di gennaio. Cinque dovrebbero essere i capisaldi che, ad oggi, non sono stati messi in discussione dalle commissioni:
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Introduzione di una fase ante crisi, in cui il potere pubblico potrà già intervenire. Prevenire, meglio che curare.
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Rafforzamento del ruolo del curatore: più poteri, più azioni giudiziali nel suo scacchiere.
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Semplificazione della procedura per ridurne i costi.
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Istituzione di un albo presso il Ministero della Giustizia in cui raccogliere i soggetti abilitati. Ci potranno rientrare anche le società tra professionisti.
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Spinta allo sviluppo delle procedure concorsuali minori: accordi di ristrutturazione dei debiti (182 bis) e piano di risanamento, in particolare.